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domenica 5 settembre 2010

compresenze monografiche > il ruolo sommerso del creativo nella scuola secondaria superiore

Relazione contenuti della compresenza





Il senso intuitivo del discorso sulla città è cresciuto gradualmente, fino a permettere una maggiore sintesi di problematiche e quindi costituire l’analisi di un “prototipo” di viaggio. Con l’Atlante storico geografico dell’arte abbiamo raccolto informazioni sulla diffusione dell’architettura e dell’arte, sull’incremento urbanistico romano, sull’incertezza di un confine geografico della città, ora sempre più “contenitore” o “impronta”, volto possibile.
Sergio Romano, i temi delle piazze come oggetto culturale della democrazia, restano in filigrana come equivalenze sistemiche, tutte da dimostrare, da visitare, come un medico con il suo paziente, la città emorragica che perde di senso è l’indizio campione. Lucia Nuti ci dà invece l’abbrivio di considerazioni topologiche, tabellari, amministrate anche poeticamente attraverso la ricognizione soggettiva: restituisce la soggettività alle carte, alla grafica della città, e investe su un genere che potrebbe essere più rifondo che puntuale, ma ha le sue “giustezze” e le sue “tendenze”: l’attrito storico è “non c’è più” l’effetto di abbandono? Sorpresa, delusione? Rammarico? Al posto, cosa? L’oggetto da risemantizzare: se non si tratta di appropriazione del luogo, allora, ramifica le sue ascendenze con elementi discendenti: patologia idiosincratica? Ratio inventiva? La città soggettivizzata è descrivibile come l’autoanalisi – si psicologizza e taumaturgicamente si cura le ferite dell’anima. Alla fine, il personaggio, il fumetto archetipo, emerge, da forma simbiotica al contenuto concettuale.
Carta e grafia intonsi come raccordi di sbiancamenti con la calce viva, stucchi segnacoli di un’improvvisa quanto diffusa guarigione, che coinvolge palazzi e strade (ce lo ricorda Brunelleschi, ma anche Michelangelo, a Roma). Il messaggio iniziale “arrivano i nostri” stile western è un investimento dell’osservatore: arrivo sul crinale, sul culmine, quasi un salto nel tempo e nello spazio, che volge dal racconto alla visitazione reale, ma è spunto preparatorio per osservare in un certo modo, metafora, di cui è il potersi girare attorno, alle proprie spalle, del tipico cavaliere, che coglie le vie di fuga, o per noi pedestri, i prepulsori specifici per istantanee re-immersioni: se uscendo da San Pietro si volesse andare sull’Aventino poi per poter tornare nel cuore della città si dovrebbe passare per. La città è segnacolo di un discorso amoroso, corale: fiducia e strategia si dovrebbero confondere. Se Michelangelo romanizza la scultura per poi paganizzare l’architettura, è forse per ripulire, scegliere, conservare: restituire significato all’edificio lasciato al suo decorso. La Roma palazziale che nel Medioevo non è ancora principesca. Colpi di scena, cut ups, emergono quando il narratore resta deluso, si sente imbrogliato, derubato o accigliato scommette sull’errore diaristico o topografico: naturalmente l’errore non c’èè la città che è cambiata – il processo metaforico diventa stile discorsivo nel momento in cui questa scena picta va ridipinta, assegnandovi nuovi elementi di misura, nuovi teli latinizzati (Tasso), nuovi panni stesi. La litografia dell’itinerario si intreccia con la volgarizzazione del nucleo urbano (palatinizzato, palazzializzato) e l’assunzione di una sorta di cura dei suoi vincoli costituzionali che diventano, itinerari saggiati dalle restauratio urbis, per poi essere forma mentis che celebrano l’unitarietà dell’approccio monacale: la città come luogo è ortus i cui si ora et labora, manifestamente ordinata e accresciuta, vede i suoi decessi assottigliare vicoli, ma anche restituire solarità e aria a strade ormai quasi “perigliose”. Se il cartografo dei nodi restasse deluso, il nucleo tuttavia è fondante il repertorio: accedere, cogliere capricci e scorci inediti o restaurati, è presupposto per rinvigorire la forza enunciazionale dei toponimi linguistici, ora cronotipi, cronotopoi del viaggio: la città di prima si stratifica nel cambiamento del nome. Il viaggio è grecizzante perché non si può saltare da un lato all’altro: bustrofedico e tensivo perché si deve superare l’attrito dell’apparente inutilità prossemica – perché non si può scavalcare l’edificio, etc.: gradualmente avvicinandomi la visione d’insieme svanisce e si attenua il “potere” iconico della personalità urbanistica storica; il patrono infatti lascia spazio alle facciate delle case, ai volti singoli che dominano le strade: ed è un caffè, un ristorante, un arco che designa l’accesso al metrò a rappresentare la fisionomia semiologica della città.



Più schematicamente il compito dovrebbe contenere le seguenti indicazioni
Da dove parto, una città che comunque non è la nostra e va descritta; dove vado e il percorso utile possa connotare lo stile di viaggio. Come costituisco lo schizzo elementare del viaggio (elenco, sinopsis, aggiunzioni tematiche, possibili eliminazioni avvenute ‘qui c’era’); oggetti si e no: teatri, piscine, stazioni balneari pubbliche e turistiche; itinerari canonici: vista dall’alto, mura, monumento e personaggio.
Come garantisco l’unità “testuale”: diaristiche/giornali/librerie/enciclopedie: fonti posso aggiungere epigrafi su pietra, segnaletiche stradali caratterizzanti; cosa costituisce la memoria storica: la stratificazione t/sp del luogo – il taglio specifico che seleziona per categorie e pertinenze anche la strada da fare per arrivare. Accanto ai colpi di scena (‘ma non c’è più’) lo stupore scenografico (‘ma questo è il Circo Massimo’).
Scioglimento narrativo: accessi, scrigni come eredità assunta di tipo storico culturale. Poi dulcis in fundo: rialzo la testa e chi vedo: il personaggio, il milite ignoto, l’epigrafe secolare, la statua di Voltaire alla Sorbonne (per es.).

Atteggiamento: dipanare la maglia, cogliere i nodi, fidarsi della rappresentazione visuale(visualizzante se propositiva per effetti di presenza (dare uno scorcio di cosa c’è in torno, da un senso di già visto, noto, certo).
Attraversare il tempo storico: vedere le cose da dentro quindi restituire l’immagine diacronica e le metamorfosi metabolizzate: parte dell’incontro tra nuovo e antico. Fissarne l’appointment, come costituendo un’agenda – può lasciar spazio alle libertà fondamentali.
I mirabilia sono costitutivamente laici: è il mondo pagano che metamorfizza quello cristiano.
La concettualizzazione del limite: vestito arbitrario? Fabbrica che intesse con gli scorci una corale silenziosità concentrata e fabbrile? Mettere il fiuto nelle cose, nei negozi, saggio empirico della prova, forse, aggiunge la capacità di scegliere il ricordo appropriato e memorabile. Per restituire prosopopea e sobrietà a ‘scorci’ o a quadri architettonici immediati ed efficaci. Attenzione alla caccia al tesoro: il toponimo retrò da sicurezza che si è sulla traccia. La mappa mentale diventa un ‘proprio’ solo se ufficialmente disposta nel linguaggio ordinario, altrimenti meglio disporre nel racconto d’emblema della guida franchigena: appagati o rimborsati. Come sondare l’onestà e dividere l’avarizia dalla preziosità: e se non ci fosse più?
Pubblicistica del viaggio: se troviamo la “grafica” antica della pianta, il volto storico si incunea, stabilisce una relazione luministica, si rinsalda come una forma solidale tra Espressione e Contenuto, la grafica favorisce la lettura controluce, soffusa del viaggio di respiro; ma metafora del supporto è proprio il muro, sostituito da case sulle vie circondariali, mura dimesse e obbligate delle carceri famose e fittizie, quando non è il mare (Alcatraz) allora è l’isola di Napoleone a Sant’Elena.
Il compilatore, se non è dotto, si deve rivolgere al magister gregorius di turno , se si ha fortuna, agenzia turistica o altrimenti personalità letteraria – analogia del Gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, il magister istruisce: la contemplazione dall’alto che abbiamo definito in stile western, la suggerisce come flessibilità, specularità improvvisa, capacità bustrofedica: il suo punto di vista è il contenuto: la forma della città come unità simbolica, ne è la forma che permette il generarsi del discorso individuale, topos retorico narrativo, del visivo inteso come viaggio vissuto.
Attributi: meraviglioso, favolistico, osservare, descrivere, stupire, qualcosa di magico, miracolistico, affascinante persino quando si parla di leggendari miracoli ora trasposti su quelli che il comune è riuscito a fare per contenere l’evoluzione della città. No a frasi come incredibile, non sembra vero: insinuatorie. A meno che lo sconcerto non sia dovuto a qualcosa che ci è stato soffiato di sotto al naso.
Come insegna Boas – il testo, in questo caso la città, è il serbatoio di informazioni e non vale il paragone se non come strumento di indagine (Roma caput mundi). Il viaggio così è autoritativo, diventa un tropo letterario un certo ricordo, l’istruzione a formarsi un’idea possibile di esperienza magnifica serve a condensare esperienze liberatorie in eventi raggiungibili dall’osservatore che poverino potrebbe essere frustrato dalla mole; sistematicamente, scegliere il punto di vista oggi è più facile perché si ha la macchina fotografica – quindi nel nostro progetto andrebbe usata la nozione causale: lasciare spazio all’immaginazione significa favorirla (e favorire il punto della situazione). Fragilità del ricordo, del testo-progetto, dei riferimenti testuali, se non sono stati letti: quindi nel nostro laboratorio si dovrebbe raccontare per filo e per segno qualcosa che funga da attrattore per le informazioni successive, le organizzi, faccia da riferimento discorsivo, se serve, polarizzi così intorno a se la smania di quel luogo: basta un Museo per capitolare immediatamente sull’agenda della giornata. Nel film potenziale di cui questo potrebbe essere una sceneggiatura minore ma non ultima, un aiuto a rendere culturale il saggio, ci potrebbe essere la ricostruzione ricercata, di matrice autobiografica: il testo letterario “recitato” sulle soglie poetiche della città percepita. Solitamente la città porta sempre le sue “maschere” teatrali attraverso le epigrafi murali: passaggi minori si abitano di sussurrate analogie, cenci vissuti. Per rimarginare la confusione – il viaggiatore – dovrebbe sempre porre delle mete raggiungibili: alla fine il colpo di scena può anche essere distruttivo: se in quell’area c’era un bellissimo edificio cinquecentesco e adesso c’è il grande magazzino sarebbe meglio trovare l’abito consono, la firma, o lo “sguancio”: non far pesare l’exit - è la strada, con i suoi marciapiedi, gli alberi e un ultima sosta frugale ad armonizzare la sequenza del “ripartire per”, senza porre ostacoli e quindi l’orario, per tornare nell’identikit del monaco-pellegrino.

Compito finale: scritto e grafico

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