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lunedì 4 luglio 2011

new jokes

| La storia della zuffa per il canone di Urbino

| liberamente inventato di Tania L. dalla Porta



Paolo Uccello [1397] e Piero della Francesca [1415], nel ’64 all’incirca, vennero invitati a partecipare al bando triennale (che poi divenne quadriennale per le conclusioni - come se fosse un post post dottorato di ricerca) per le Feste Urbinate in onore del Duca di Montefeltro – furono indetti seminari di disegno, mappe, città, paesaggio e confronti sulle antiche vie di pellegrinaggio, disegni di prospettiva e matematica, statica e possibilismo, geometria e armonia comparata, sancta sanctorum. Negli ultimi giorni, i due, dopo essersi frequentati un po’ per fama reciproca, cominciarono a frequentare l’osteria dell’Arca e a fare tardi, anzi un po’ tardi… tanto che prima delle conclusioni...
   L'osteria era piena, c'era gente che già faceva scommesse sui due che in realtà ormai erano pure confidenti e amici, scambiandosi qualche regola produttiva, qualche idea sugli schemi, come dire, se dare l'ultimo colpo di cera o invece fare come Masaccio, passargli l'olio. Così arrivavano boccali di vino e birra mescolata con la limonata, nel caso, si apprestassero a rimettere... la cameriera spingeva qualche brioche e il cameriere i boccali, così della borsa di studio dei due, si sa, restava ben poca cosa. Piero aveva preso una specie di rimessa e a Paolo piaceva perché gli ricordava la sua Venessia in mezzo ai restauratori di barche, così gli tornava a fare qualche battuta portolana che Piero gradiva ridendo, cum grano risi, e non si gettava via in una rincorsa insana... ma quella sera Piero aveva preso d'occhio la caraffa più del solito e diceva, "ormai la s'è finita! me dispiass", ripetendo la cantilena e Paolo lo guardava di sotto il cappello, semi scuro in volto... ad un certo punto gli fa "te non entri nel canone, caro, dicono che badi più al piacer tuo che al disegno, da queste parti" ovviamente lo sguardo di Paolo scoppio in scintille - lo scrutò a fondo - quasi gli tolse il parrucchetto - lo sguardo gli limò le orecchie e così gli rispose, badando di non nominare capre e pecore: "te invece che hai l'ova rinsecchite, magari sei pure infiltrato in qualche banda..." ma non finì di dire che si ritrovò con quattro delle grosse dita di Piero ben stampate in faccia sul punto in cui le noche saggiano quello che manca dello zigomo... Paolo disse qualcosa, anzi rapidamente si difese menandolo a sua volta, ed erano almeno tre. Così Piero rimase steso sotto la panca. Paolo si aggiustò rapidamente, conservando l'idea di spiegargli il suo, ma lo vide ridotto e un mugolio d'alchool confermò l'idea che lo sconcio era già bel che fatto... di vino e di tutto il resto. Così se lo prese in soccorso, prima pensando alla figura, poi all'armeria e si arrotolò il braccio tosto attorno al collo come una sciarpa e lo sollevò da terra dicendo a tutti, guai e scommesse illecite, 'zing' facendo il segno del filar loro il collo...
   Arrivato dentro la rimessa, scostò due o tre cose dal tavolo ma c'erano i due ritratti dei duchi, allora lo issò sulla sedia, ma ciondolava, così s'accorse del lettaccio e lì lo mise - Piero si girò e brontolò 'mi scuso' e si girò sul fianco buono, addormentato. Gli tolse gli stivali e poi la camicia sporca di vino, birra e sangue e lo pulì un po', quel tanto da buttar tutto per terra e metterlo sotto il telaccio con cui copriva la pala, poi prese il panno e glielo mise sopra... Guardandolo e ridendo per la faccia da cucciolo rappreso in un grumo sonnolento...non s'era visto mai...restituite un paio di considerazioni sulla comunione, pane al pane vino al vino e disse, 'ti si che te sei en toc de pam! ma leso' e si diresse verso il portone quando gli sfuggi un'occhiata ai ritratti, la luce era fioca, solo quella della luna entrava diretta sul tavolone di legno pieno di stracci, pennelli e cartoni su cui stavano in bella posa i due ritratti dei duchi... non poté farne a meno, e con la testa che gli rintronava ancora si ricordò la voce di Piero 'io testuggine - e te 'lora carretto - te sei l carret de to nona - ma va là' e così pensò che era un'idea, li rivoltò e cominciò a disegnare i duchi sui carretti da campagna e quando ormai erano le sei, aveva finito: la luce inondò lentamente la stanza da sopra il tetto dove c'erano due abbuini, voltò i quadri e disse tra sé bisbigliando 'e adess? s'è che te ghe vedi? guarda che geometrie sti nasi el ment del duca 'l va in rima con la duchessa...' e quel biancore cominciava ad abbagliare, uno sfondo senza tocco, pensò, era inusuale e così ripensandoci disse di nuovo tra sé, 'ghel fo veder mi, parola de portolano...' e gli dipinse una vista a volo d'uccello, con infinite sfumature degradanti all'orizzonte, porti e barche pronte a uscire dai porti, geometrie per una teca tascabile, pronta per l'uso, da viaggiatori. Voleva la risposta a piacer suo? eccolo servito... si pulì le mani con gli stracci, lo guardò... ti chiedo scusa va là Pierottolo che non sei altro... 'te te le sei buscate di brutto sta volta'.
   Conclusioni
Montefeltro chiama a sè gli artisti e chiede: "avete pronta la parata? suvvia raccontatemi, mostratemi, sono ansioso e non sto nella pelle..."
Passarono gli anni, anzi i secoli e un giorno nell'Isola di san Giorgio a Venezia, una signorina, bé veramente non si può dire che fosse giovanissima, guardando alcuni libri in biblioteca, trovò qualche annotazione, una di economia 'soldi per pulire la rimessa' e un'altra 'ripagare Paolo Uccello dell'offesa e dei fondi': la prima era stata cancellata con una X e su scritto c'era 'fatto' con convinzione e bella calligrafia, sulla seconda un cerchio, un ovetto quasi e uno strano colore che pareva, uno sputacchio veramente...

lunedì 13 settembre 2010

netiquette - net authority italiana

Cos'è la Netiquette | Etica e norme di buon uso dei servizi di rete


Fra gli utenti dei servizi telematici di rete, prima fra tutte la rete Internet, ed in particolare fra i lettori dei servizi di "news" Usenet, si sono sviluppati nel corso del tempo una serie di "tradizioni" e di "principi di buon comportamento" (galateo) che vanno collettivamente sotto il nome di "netiquette". Tenendo ben a mente che la entità che fornisce l'accesso ai servizi di rete (provider, istututuzione pubblica, datore di lavoro, etc.) può regolamentare in modo ancora più preciso i doveri dei propri utente, riportiamo in questo documento un breve sunto dei principi fondamentali della "netiquette", a cui tutti sono tenuti ad adeguarsi.
1 Quando si arriva in un nuovo newsgroup o in una nuova lista di distribuzione via posta elettronica, è bene leggere i messaggi che vi circolano per almeno due settimane prima di inviare propri messaggi in giro per il mondo: in tale modo ci si rende conto dell'argomento e del metodo con cui lo si tratta in tale comunità.
2 Se si manda un messaggio, è bene che esso sia sintetico e descriva in modo chiaro e diretto il problema.
3 Non divagare rispetto all'argomento del newsgroup o della lista di distribuzione.
4 Se si risponde ad un messaggio, evidenziare i passaggi rilevanti del messaggio originario, allo scopo di facilitare la comprensione da parte di coloro che non lo hanno letto, ma non riportare mai sistematicamente l'intero messaggio originale.
5 Non condurre "guerre di opinione" sulla rete a colpi di messaggi e contromessaggi: se ci sono diatribe personali, è meglio risolverle via posta elettronica in corrispondenza privata tra gli interessati.
6 Non pubblicare mai, senza l'esplicito permesso dell'autore, il contenuto di messaggi di posta elettronica.
7 Non pubblicare messaggi stupidi o che semplicemente prendono le parti dell'uno o dell'altro fra i contendenti in una discussione. Leggere sempre le FAQ (Frequently Asked Questions) relative all'argomento trattato prima di inviare nuove domande.
8 Non inviare tramite posta elettronica messaggi pubblicitari o comunicazioni che non siano stati sollecitati in modo esplicito.
9 Non essere intolleranti con chi commette errori sintattici o grammaticali. Chi scrive, è comunque tenuto a migliorare il proprio linguaggio in modo da risultare comprensibile alla collettività.

Alle regole precedenti, vanno aggiunti altri criteri che derivano direttamente dal buon senso:

A La rete è utilizzata come strumento di lavoro da molti degli utenti. Nessuno di costoro ha tempo per leggere messaggi inutili o frivoli o di carattere personale, e dunque non di interesse generale.
B Qualunque attività che appesantisca il traffico sulla rete, quale per esempio il trasferimento di archivi voluminosi, deteriora il rendimento complessivo della rete. Si raccomanda pertanto di effettuare queste operazioni in orari diversi da quelli di massima operatività (per esempio di notte), tenendo presenti le eventuali differenze di fuso orario.
C Vi sono sulla rete una serie di siti server (file server) che contengono in copia aggiornata documentazione, software ed altri oggetti disponibili sulla rete. Informatevi preventivamente su quale sia il nodo server più accessibile per voi. Se un file è disponibile su di esso o localmente, non vi è alcuna ragione per prenderlo dalla rete, impegnando inutilmente la linea e impiegando un tempo sicuramente maggiore per il trasferimento.
D Il software reperibile sulla rete può essere coperto da brevetti e/o vincoli di utilizzo di varia natura. Leggere sempre attentamente la documentazione di accompagnamento prima di utilizzarlo, modificarlo o re-distribuirlo in qualunque modo e sotto qualunque forma.
E Comportamenti palesemente scorretti da parte di un utente, quali:
- violare la sicurezza di archivi e computers della rete;
- violare la privacy di altri utenti della rete, leggendo o intercettando la posta elettronica loro destinata;
- compromettere il funzionamento della rete e degli apparecchi che la costituiscono con programmi (virus, trojan horses, ecc.) costruiti appositamente; costituiscono dei veri e propri crimini elettronici e come tali sono punibili dalla legge.

domenica 5 settembre 2010

compresenze monografiche > il ruolo sommerso del creativo nella scuola secondaria superiore

Relazione contenuti della compresenza





Il senso intuitivo del discorso sulla città è cresciuto gradualmente, fino a permettere una maggiore sintesi di problematiche e quindi costituire l’analisi di un “prototipo” di viaggio. Con l’Atlante storico geografico dell’arte abbiamo raccolto informazioni sulla diffusione dell’architettura e dell’arte, sull’incremento urbanistico romano, sull’incertezza di un confine geografico della città, ora sempre più “contenitore” o “impronta”, volto possibile.
Sergio Romano, i temi delle piazze come oggetto culturale della democrazia, restano in filigrana come equivalenze sistemiche, tutte da dimostrare, da visitare, come un medico con il suo paziente, la città emorragica che perde di senso è l’indizio campione. Lucia Nuti ci dà invece l’abbrivio di considerazioni topologiche, tabellari, amministrate anche poeticamente attraverso la ricognizione soggettiva: restituisce la soggettività alle carte, alla grafica della città, e investe su un genere che potrebbe essere più rifondo che puntuale, ma ha le sue “giustezze” e le sue “tendenze”: l’attrito storico è “non c’è più” l’effetto di abbandono? Sorpresa, delusione? Rammarico? Al posto, cosa? L’oggetto da risemantizzare: se non si tratta di appropriazione del luogo, allora, ramifica le sue ascendenze con elementi discendenti: patologia idiosincratica? Ratio inventiva? La città soggettivizzata è descrivibile come l’autoanalisi – si psicologizza e taumaturgicamente si cura le ferite dell’anima. Alla fine, il personaggio, il fumetto archetipo, emerge, da forma simbiotica al contenuto concettuale.
Carta e grafia intonsi come raccordi di sbiancamenti con la calce viva, stucchi segnacoli di un’improvvisa quanto diffusa guarigione, che coinvolge palazzi e strade (ce lo ricorda Brunelleschi, ma anche Michelangelo, a Roma). Il messaggio iniziale “arrivano i nostri” stile western è un investimento dell’osservatore: arrivo sul crinale, sul culmine, quasi un salto nel tempo e nello spazio, che volge dal racconto alla visitazione reale, ma è spunto preparatorio per osservare in un certo modo, metafora, di cui è il potersi girare attorno, alle proprie spalle, del tipico cavaliere, che coglie le vie di fuga, o per noi pedestri, i prepulsori specifici per istantanee re-immersioni: se uscendo da San Pietro si volesse andare sull’Aventino poi per poter tornare nel cuore della città si dovrebbe passare per. La città è segnacolo di un discorso amoroso, corale: fiducia e strategia si dovrebbero confondere. Se Michelangelo romanizza la scultura per poi paganizzare l’architettura, è forse per ripulire, scegliere, conservare: restituire significato all’edificio lasciato al suo decorso. La Roma palazziale che nel Medioevo non è ancora principesca. Colpi di scena, cut ups, emergono quando il narratore resta deluso, si sente imbrogliato, derubato o accigliato scommette sull’errore diaristico o topografico: naturalmente l’errore non c’èè la città che è cambiata – il processo metaforico diventa stile discorsivo nel momento in cui questa scena picta va ridipinta, assegnandovi nuovi elementi di misura, nuovi teli latinizzati (Tasso), nuovi panni stesi. La litografia dell’itinerario si intreccia con la volgarizzazione del nucleo urbano (palatinizzato, palazzializzato) e l’assunzione di una sorta di cura dei suoi vincoli costituzionali che diventano, itinerari saggiati dalle restauratio urbis, per poi essere forma mentis che celebrano l’unitarietà dell’approccio monacale: la città come luogo è ortus i cui si ora et labora, manifestamente ordinata e accresciuta, vede i suoi decessi assottigliare vicoli, ma anche restituire solarità e aria a strade ormai quasi “perigliose”. Se il cartografo dei nodi restasse deluso, il nucleo tuttavia è fondante il repertorio: accedere, cogliere capricci e scorci inediti o restaurati, è presupposto per rinvigorire la forza enunciazionale dei toponimi linguistici, ora cronotipi, cronotopoi del viaggio: la città di prima si stratifica nel cambiamento del nome. Il viaggio è grecizzante perché non si può saltare da un lato all’altro: bustrofedico e tensivo perché si deve superare l’attrito dell’apparente inutilità prossemica – perché non si può scavalcare l’edificio, etc.: gradualmente avvicinandomi la visione d’insieme svanisce e si attenua il “potere” iconico della personalità urbanistica storica; il patrono infatti lascia spazio alle facciate delle case, ai volti singoli che dominano le strade: ed è un caffè, un ristorante, un arco che designa l’accesso al metrò a rappresentare la fisionomia semiologica della città.



Più schematicamente il compito dovrebbe contenere le seguenti indicazioni
Da dove parto, una città che comunque non è la nostra e va descritta; dove vado e il percorso utile possa connotare lo stile di viaggio. Come costituisco lo schizzo elementare del viaggio (elenco, sinopsis, aggiunzioni tematiche, possibili eliminazioni avvenute ‘qui c’era’); oggetti si e no: teatri, piscine, stazioni balneari pubbliche e turistiche; itinerari canonici: vista dall’alto, mura, monumento e personaggio.
Come garantisco l’unità “testuale”: diaristiche/giornali/librerie/enciclopedie: fonti posso aggiungere epigrafi su pietra, segnaletiche stradali caratterizzanti; cosa costituisce la memoria storica: la stratificazione t/sp del luogo – il taglio specifico che seleziona per categorie e pertinenze anche la strada da fare per arrivare. Accanto ai colpi di scena (‘ma non c’è più’) lo stupore scenografico (‘ma questo è il Circo Massimo’).
Scioglimento narrativo: accessi, scrigni come eredità assunta di tipo storico culturale. Poi dulcis in fundo: rialzo la testa e chi vedo: il personaggio, il milite ignoto, l’epigrafe secolare, la statua di Voltaire alla Sorbonne (per es.).

Atteggiamento: dipanare la maglia, cogliere i nodi, fidarsi della rappresentazione visuale(visualizzante se propositiva per effetti di presenza (dare uno scorcio di cosa c’è in torno, da un senso di già visto, noto, certo).
Attraversare il tempo storico: vedere le cose da dentro quindi restituire l’immagine diacronica e le metamorfosi metabolizzate: parte dell’incontro tra nuovo e antico. Fissarne l’appointment, come costituendo un’agenda – può lasciar spazio alle libertà fondamentali.
I mirabilia sono costitutivamente laici: è il mondo pagano che metamorfizza quello cristiano.
La concettualizzazione del limite: vestito arbitrario? Fabbrica che intesse con gli scorci una corale silenziosità concentrata e fabbrile? Mettere il fiuto nelle cose, nei negozi, saggio empirico della prova, forse, aggiunge la capacità di scegliere il ricordo appropriato e memorabile. Per restituire prosopopea e sobrietà a ‘scorci’ o a quadri architettonici immediati ed efficaci. Attenzione alla caccia al tesoro: il toponimo retrò da sicurezza che si è sulla traccia. La mappa mentale diventa un ‘proprio’ solo se ufficialmente disposta nel linguaggio ordinario, altrimenti meglio disporre nel racconto d’emblema della guida franchigena: appagati o rimborsati. Come sondare l’onestà e dividere l’avarizia dalla preziosità: e se non ci fosse più?
Pubblicistica del viaggio: se troviamo la “grafica” antica della pianta, il volto storico si incunea, stabilisce una relazione luministica, si rinsalda come una forma solidale tra Espressione e Contenuto, la grafica favorisce la lettura controluce, soffusa del viaggio di respiro; ma metafora del supporto è proprio il muro, sostituito da case sulle vie circondariali, mura dimesse e obbligate delle carceri famose e fittizie, quando non è il mare (Alcatraz) allora è l’isola di Napoleone a Sant’Elena.
Il compilatore, se non è dotto, si deve rivolgere al magister gregorius di turno , se si ha fortuna, agenzia turistica o altrimenti personalità letteraria – analogia del Gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, il magister istruisce: la contemplazione dall’alto che abbiamo definito in stile western, la suggerisce come flessibilità, specularità improvvisa, capacità bustrofedica: il suo punto di vista è il contenuto: la forma della città come unità simbolica, ne è la forma che permette il generarsi del discorso individuale, topos retorico narrativo, del visivo inteso come viaggio vissuto.
Attributi: meraviglioso, favolistico, osservare, descrivere, stupire, qualcosa di magico, miracolistico, affascinante persino quando si parla di leggendari miracoli ora trasposti su quelli che il comune è riuscito a fare per contenere l’evoluzione della città. No a frasi come incredibile, non sembra vero: insinuatorie. A meno che lo sconcerto non sia dovuto a qualcosa che ci è stato soffiato di sotto al naso.
Come insegna Boas – il testo, in questo caso la città, è il serbatoio di informazioni e non vale il paragone se non come strumento di indagine (Roma caput mundi). Il viaggio così è autoritativo, diventa un tropo letterario un certo ricordo, l’istruzione a formarsi un’idea possibile di esperienza magnifica serve a condensare esperienze liberatorie in eventi raggiungibili dall’osservatore che poverino potrebbe essere frustrato dalla mole; sistematicamente, scegliere il punto di vista oggi è più facile perché si ha la macchina fotografica – quindi nel nostro progetto andrebbe usata la nozione causale: lasciare spazio all’immaginazione significa favorirla (e favorire il punto della situazione). Fragilità del ricordo, del testo-progetto, dei riferimenti testuali, se non sono stati letti: quindi nel nostro laboratorio si dovrebbe raccontare per filo e per segno qualcosa che funga da attrattore per le informazioni successive, le organizzi, faccia da riferimento discorsivo, se serve, polarizzi così intorno a se la smania di quel luogo: basta un Museo per capitolare immediatamente sull’agenda della giornata. Nel film potenziale di cui questo potrebbe essere una sceneggiatura minore ma non ultima, un aiuto a rendere culturale il saggio, ci potrebbe essere la ricostruzione ricercata, di matrice autobiografica: il testo letterario “recitato” sulle soglie poetiche della città percepita. Solitamente la città porta sempre le sue “maschere” teatrali attraverso le epigrafi murali: passaggi minori si abitano di sussurrate analogie, cenci vissuti. Per rimarginare la confusione – il viaggiatore – dovrebbe sempre porre delle mete raggiungibili: alla fine il colpo di scena può anche essere distruttivo: se in quell’area c’era un bellissimo edificio cinquecentesco e adesso c’è il grande magazzino sarebbe meglio trovare l’abito consono, la firma, o lo “sguancio”: non far pesare l’exit - è la strada, con i suoi marciapiedi, gli alberi e un ultima sosta frugale ad armonizzare la sequenza del “ripartire per”, senza porre ostacoli e quindi l’orario, per tornare nell’identikit del monaco-pellegrino.

Compito finale: scritto e grafico

sabato 4 settembre 2010

ékphrasys di una finestra - a proposito della fine del fumetto in un palmare da due soldi

Ti prego non cancellarmi ora (D. Barbieri) - non posso farne a meno di proporre questa riflessione da praticante (minore, credo del fumetto ma amante del genere, come storica dell'arte quanto meno non priva di strumenti e coloriture più o meno dense e piene, di storiografia critica e metodologia critica come la semiotica) - per quella "singolarità nuda" che rappresenta la pagina - il soggetto della tua discussione mi ricorda il Ronsard di Tout meurt, tout change - Dicours de l'altération et change des choses humaines - ma ecco forse segno tout court, la "tabulatura della pagina", canonile a suo modo del racconto a fumetti, appartenente a mon avis pienamente alla stilistica architettonica preistorica romana persino, non solo, è oggetto dell'estetica della pagina anche in riprese valorizzanti dalla miniatura all'Illuminismo almeno ma certo soffre in quanto tale di improvvise limitanti deiconizzazioni: sul palmare però una vigneta può far sentire la volatilità del francobollo, la sensualità dell'illustrazione autonoma; la pinacoteca mobile che potrebbe costituirsi con i mezzi e gli strumenti del Museo Virtuale potrebbe potenziarsi e quella che dovrebbe essere interpretazione invece che divenire scorcio riduttivo della personalità autoriale - subspecie vudu, potrebbe mostrare i fiocchi di neo-nascituri, tuttaltro che infertili: però è un pochino rischioso, insomma, attribuire ai nuovi media miracoli, eccetto la necessità di restituire una corretta informazione estetica - quando ricreano lo fanno quasi per riconoscimento dell'errore come i mega ipad della Apple che sembra farne già la cerimonia di scuse, insomma, guarda un po' - era un ridotta re-iconizzazione e come tale strideva in quella pretesa di gusto epocale: la storia dovrebbe essere riflessa nell'oggetto culturale e nei suoi soggetti, non l'oggetto in sé padronato furtivamente e piratato in tal senso, da persone che non custodiscono e non conservano affatto la cultura, ma esordiscono proprio con dei misunderstanding da brividi con esibizionismo di una tale ignoranza da far cascare braccia e mani a qualunque critico culturale: - quel determinismo cieco che non porta accidenti proprio a nulla se non alla morte dell'arte che proclama distorsioni con la maschera della sapienza come quando dice che Romanticismo e Roma non appartengono ad alcuna aria di famiglia e l'assunto da taccuino ispettivo è già violenza... di un Ispettore saccente che sia chiama Drago e parla da incompetente di competenza.

lunedì 12 luglio 2010

The Cat’s Moon di Stefano Cagol Studio d’Arte Raffaelli

Nello schema di lettura che intendo proporre successivamente i protagonisti sono la luce, il colore e il contrasto: la struttura narrativa entro la quale si situa è quella della realizzazione di un punto di vista, di un gioco che, dall’astratto al concreto, configura l’immagine, la sua graduata intensificazione: la sua efficacia consiste nell’ipotizzare il ruolo di osservatore in un soggetto ora strano, ora semplicemente curioso, sembra il gomitolo con il quale gioca il personaggio principabile: individuato?
   La magia delle immagini di Stefano Cagol, non più semplice fotografia, è di rendere effetti di piani, aprendo la lettura ad una prima dimensione spazio-temporale dello sguardo, come sospensione del movimento, corporeità dei contrasti, della luce, del colore: eventi dotati di senso, non solo tratti, la cui evidenza sia ora sospesa nell’immediatezza della presa, la quale non si rifugia in una facile ottimizzazione dello sguardo, ora dissolto lungo il percorso del racconto, estasi felina!
   Vorrei per questa lettura, ad intervalli temporali, a scatti, rintracciare alcune categorie: l’idea di una tensivité significativa che attraversa i quadranti proponendo un verso di lettura basso-sinistra/alto–destra e che costituisce inoltre un primo segno di modulazione d’elementi minimi di significazione del mondo culturale-naturale, rappresentabili come formanti plastici di grandezza variabile del mondo naturale e identificati, in questa narrazione, come forme del sensibile. Temporalità riflessa nella simulazione del primo gatto sulla luna-la luna del gatto-il gatto e la sua luna: ripetizione saliente. La traccia digitale si ricompone leggera in una precisione euristicamente-animale della nitidezza, l’opacità dell’essere e del mostrarsi. All’ombra si oppone la timidezza del gesto, gradualmente, per approsimazioni, diviene memoria, gioco-ultra-violetto di sguardi: tenderness/love, quantum di luce che trasforma la goccia sinuosa in forma: montaggio emozionale del segreto: vividness del reale e fede del vero. Le cornici entro le quali Stefano Cagol situa la vita sono quelle dell’emozione che si fa logica, intuizione, inferenza temporale cui risponde il supporto, la tecnologia con un effetto di presa della realtà sulla forma, e la sua condensazione sintattica, valorizza il senso attraverso l’idea che non c’è gioco, fuga, senza astrazione.
   L’immagine-tempo si confronta con un’anima sbocciata in ultra violet pura luce, forma e sotanza che non si frammentano nella suddivisione narrativa. Lo spettatore intanto gioca la sua parte, testimonia che là c’è un gatto e la sua luna. L’attesa non chiede il notturno ma l’esser colto di sorpresa nella luce ultravioletta del pensiero, non si consegna che alla tele-patia della traccia del supporto d’alluminio, alla trama leggera del topos ora liberato da ogni temporalità deterministica.
  E se Il n-y-à pas de sens hors du texte, metto il naso fuori dalla galleria e getto i miei occhi timidi e assopiti ovunque vi sia ossigeno - intanto la nostalgia è sgusciata dalla porta e m’insegue bisbigliandomi all’orecchio qualcosa nel linguaggio della fotografia. Il vento mi volta di scatto e mi costringe a rientrare in questo tardo grigio pomeridiano. Il piccolo animale-arte graffia la porta dei miei pensieri insistente, raccolgo tutto l’interno-dell’esterno-dell’interno, il fuori che ho dentro, per indovinare il teorema di questo microstile appassionato: l’idea che ci eravamo fatti della fotografia è che vivesse della massima contraddittorietà dei suoi termini, che dove potevano essere segnati confini ben certi, scattava la sua pericolosità: il reale e l’immaginario costituiscono un ponte verso il riconoscimento dei tratti percettivamente salienti dell’immagine: configurazioni tattili, morbidezza intensiva dei contrasti ritmati nei riquadri, le qualità che realmente giocano l’essenza del rapporto tra il senso e il mondo.

FORMA TEMPO LUCE – ricerca semiotica essere – racconto - come ombra e luce

di tania letizia gobbett DAMS Bologna

sabato 29 maggio 2010

spettacolo futurista - Teatro Zandonai


















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